Il sistema di assemblaggio tra manico e lama costituisce il netto discrimine tra i coltelli a lama fissa. Ecco dunque che emerge la prima distinzione tra i coltelli in teoria più semplici, cioè i “lama fissa” e i “pieghevoli” o “serramanico”, folder in inglese, nei quali il sistema di chiusura e apertura meccanico può essere molto sofisticato. Anche tra i “lama fissa” le sofisticazioni sono molteplici, forse più a carattere strutturale. Sulle tipologie di costruzione dei coltelli diremo soltanto, molto sommariamente, che possono avere una “anima” all’interno del manico – il codolo o coda per intenderci – realizzata in molti modi: integrale, parziale, corta di tipo giapponese, stretta, stretta filettata o stretta seghettata. Anche negli Usa la querelle sulla qualità superiore dell’uno o dell’altro tipo di codolo non è destinata a terminare: certo è che la scelta influisce sul costo finale del prodotto industriale (e anche artigianale) a causa delle fasi di lavorazione in più o in meno che un certo tipo presuppone rispetto a un altro. Conviene comunque, per ogni tipo di lavoro cui si intende sottoporre il coltello, conoscerne il tipo di costruzione (che il manico nasconde o evidenzia) per non commettere errori determinanti nell’impiego, soprattutto se robusto. A scopo di definizione, iniziamo col dire che ci sono i cosiddetti coltelli a “coda stretta” (o “codolo stretto”), narrow tang per dirla all’anglosassone, vale a dire quei coltelli che nel punto in cui la lama finisce di essere tagliente e comincia a essere coperta e inglobata completamente dall’impugnatura, si restringe, diventa coda e percorre per una certa parte – e non totalmente – l’impugnatura del coltello che resta fissata a essa con l’ausilio di colle o rivetti. Questa è dunque la coda stretta “parziale”. Ci sono poi i coltelli a coda stretta “totale” nei quali la coda corre per l’intera lunghezza dell’impugnatura e un dado fissa la coda nella parte terminale di essa, parte che solitamente viene filettata. Il coltello detto “piatto pieno”, a “tutto codolo” o full tang è quello invece nel quale la sagoma dell’impugnatura e quella della coda hanno la stessa superficie e perimetro: quindi l’impugnatura del coltello è costituita da due guancette di vari materiali che coprono la coda. Molto frequentemente un elso viene montato tra la parte in materiale non metallico dell’impugnatura e l’inizio della parte tagliente. Esso viene fissato al metallo con l’ausilio di rivetti passanti, spesso chiudendo il tutto con saldature a stagno per evitare il passaggio della dannosissima umidità tra l’elso e l’acciaio stesso della lama. La lavorazione cosiddetta “semi-integrale” è molto difficoltosa e riguarda, tranne rarissime eccezioni, la produzione artigianale. Parliamo di coltelli realizzati da una barra di acciaio molto più spessa dalla quale poi si ricaverà la lama, la guardia e il codolo in un unico monoblocco senza dover ricorrere perciò a saldature di nessun genere: le guancette vengono sovrapposte alla coda del coltello, fissandole con l’ausilio di viti o chiodi ed eventualmente anche collanti. Aumentando ancora la difficoltà, passiamo ai coltelli “integrali” o full integral, nei quali lama, elso, coda e pomo, cioè la parte finale della coda, sono un tutt’uno solidissimo: c’è quindi una scavatura tra il pomo e l’elso dove si inserisce – e in questo sta il pregio del coltello – la guancetta. Ancora oltre, il coltello con più di un braccio di guardia, il sub-hilt. La traduzione italiana del termine risulta difficile, il coltello comunque possiede una “prima guardia” e una “sottoguardia” cui si appoggia il dito anulare della mano. Qualche volta, nei pezzi più belli e più rari, c’è anche un’ulteriore braccio di guardia sulla parte dorsale dell’impugnatura, al quale si appoggia la parte di mano tra l’indice e il pollice. Le definizioni americane Quella dei coltelli a lama fissa è oggi una categoria vasta che si distingue in genere per l’uso sportivo cui i coltelli stessi sono destinati. Pensiamo a coltelli spartani, robusti, costruiti per essere usati e capaci di garantire prestazioni di tutto rispetto “sul campo”. Si tratta comunque della categoria di coltelli più venduta al mondo. Negli Stati Uniti storicamente si sono verificati un uso e una diffusione maggiori dei coltelli e pertanto risulta forse più corretto rifarsi sia alla classificazione statunitense – generalmente adottata – sia alla relativa terminologia. Lasciando da parte la vasta schiera di prodotti di uso nautico, marinaresco, piscatorio e subacqueo, che pure hanno una vastissima storia e utilità specialistica e “sportiva” indiscutibile – e dei quali il nostro Paese è grande produttore – possiamo identificare come sportivi alcuni tipi ben precisi di coltelli definiti all’anglosassone soprattutto come Utility o All-purpose, Hunting, i cosiddetti Survival o Combat oppure Fighting o ancora Attack. Per tutti questi generi si moltiplicano le denominazioni combinate mentre una corretta e puntuale definizione si deve al mitico costruttore artigianale Walter Doane “Bo” Randall che ha in questo modo scrupolosamente identificato tutta la sua produzione. All-purpose, è il termine più ampio e generico, traducendo e racchiudendo i coltelli “per tutti gli usi”, cioè progettati per prestazioni polivalenti che vanno dal combattimento all’uso come strumento da taglio nei lavori quotidiani. Di coltelli esattamente definiti in questo modo è celebre il Randall n°1 “All-purpose fighting knife” realizzato da Bo Randall per soddisfare soprattutto le esigenze militari, ma ideale per la caccia e tutte le attività “da campo”: è infatti interessante notare che si differenzia per esempio dal Randall n° 5, il cosiddetto “Trail and camp” (specifico per caccia e “campo”), soltanto per l’elso a due rami e una leggerissima differenza di disegno della lama vicino al tallone, per ospitare l’appoggio intagliato per il dito. Abbiamo dunque già introdotto una combinazione di generi, ma per rendere il discorso più comprensibile occorrerà passare a parlare del Fighting-utility che a nostro parere si avvicina molto alla categoria testé delineata. Tale denominazione si deve alla Ka-Bar Union Cutlery che nel 1943 cominciò a rifornire il corpo dei Marines statunitensi con un coltello che si prestasse all’uso di combattimento, appunto fighting, ma anche a quello delle abituali esigenze generali di utilità, appunto utility, in tutti gli ambienti operativi tipici dell’impiego bellico, e poi militare, e anche venatorio. Si trattava del celebre “Camillus”, coltello con lama in acciaio al carbonio brunita o parkerizzata dalla punta tipo clip cioè leggermente rialzata, controfilo lungo e affilato, sguscio centrale su entrambi i lati. Il manico era costituito dalle famose rondelle in cuoio pressato. L’elso era a un ramo in lamiera e il pomo in acciaio fissato al codolo mediante ribaditura. Il Fighting è invece un pugnale quasi esclusivamente pensato per l’offesa. Il Combat-survival knife ci introduce una peculiarità piuttosto nota e “di moda” qualche anno fa con il fenomeno cinematografico di “Rambo”. Si tratta di un coltello identico nelle prestazioni a un All-purpose fighting con in più appunto un’impugnatura cava che ne amplia le specializzazioni di utilizzo con la possibilità di trasportare all’interno di essa per esempio fiammiferi, pillole potabilizzanti, ami e lenze, cerotti, bussola, accessori di pronto soccorso. Capostipite è il “Jet Pilot Survival knife” costruito dalla Marble’s Arms Corporation nel 1957 e poi su larga scala dalla Camillus Cutlery per l’Us Navy, ma l’idea prima pare debba attribuirsi alla statunitense Case e risalire agli anni ‘40. Più celebre però è ancora un coltello Randall, il n°18 “Attack-survival” del 1963. La pellicola “Rambo” interpretata da Sylvester Stallone ci ha fatto conoscere il modello bowie “First blood” realizzato da Jimmy Lile con impugnatura cava chiusa da pomo filettato dotato di guarnizione “O-ring” e caratterizzato anche dall’ampia dentatura sul dorso. Ma veniamo agli Hunting knives: sono i coltelli da caccia e in genere hanno lama caratterizzata da un solo braccio di guardia, lama a un filo e lunghezze variabili dai 6 ai 17 centimetri. Per il compito specifico di aprire ed eviscerare l’animale qualsiasi coltello può andare bene nonostante che esista un tipo particolare di lama appositamente sagomata con un gancio definito gut hook nella parte dorso-apicale, che consente una sicura e precisa operazione. La leggenda vuole che il coltellinaio dell’Alaska Merle Seguine avesse realizzato un gancio per il dorso del coltello per togliere dal fuoco da campo le cuccume di caffè bollente. Dopodiché qualcuno pensò bene di affilare quel gancio per aprire il ventre degli animali uccisi a caccia senza timore di intaccare gli organi interni e rovinare così la carne. Soprattutto per scuoiare, invece, l’uso ha definito alcune tipologie in base alle quali la lama deve essere relativamente corta e sviluppata in larghezza, con andamento del filo piuttosto curvo, affilatissima, con la punta arrotondata. Lo skinner, come gli americani definiscono questo genere di coltello, può avere punta dritta o più o meno rialzata (trailing point e sweep point) generalmente per scuoiare grossi animali, oppure punta di forma convessa lievemente ribassata rispetto al dorso della lama (drop point), abitualmente considerata molto efficiente. Esiste anche un altro tipo di lama da scuoio più polivalente che si contraddistingue per la presenza di una punta più decisamente ribassata, con controfilo molto affilato capace di tagliare le articolazioni della selvaggina: ne è esempio il coltello “White Hunter” della tedesca Puma. Non esiste comunque un coltello universale per l’attività venatoria: si trova un giusto equilibrio di compromesso soltanto nei coltelli di tipo “Deer hunter” (cacciatore di daino), sufficientemente polivalenti per consentire quasi tutte le operazioni tipiche. Alcuni modelli sono dotati di sega e possono rivelarsi utili per tagli particolarmente impegnativi.